Dott. Marco Venanzi
“La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio; solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi” (Italo Svevo “La coscienza di Zeno”)
Oggi si parla molto di salute e benessere e innumerevoli articoli, libri, trasmissioni radiotelevisive e siti internet si affannano a spiegare alla gente come stare meglio. Pochi invece sembrano interessati ad aiutare le persone a comprendere davvero quella cosa che tanto ci spaventa e ci fa soffrire e per la quale chiediamo l’aiuto del medico
Dott. Marco Venanzi
“La salute non analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio; solo noi malati sappiamo qualcosa di noi stessi” (Italo Svevo “La coscienza di Zeno”)
Oggi si parla molto di salute e benessere e innumerevoli articoli, libri, trasmissioni radiotelevisive e siti internet si affannano a spiegare alla gente come stare meglio. Pochi invece sembrano interessati ad aiutare le persone a comprendere davvero quella cosa che tanto ci spaventa e ci fa soffrire e per la quale chiediamo l’aiuto del medico: la malattia. In tanti anni di professione mi sono reso conto che questa non comprensione è uno dei maggiori ostacoli ad una maggiore diffusione dell’Omeopatia e al suo impiego ottimale. Ho la pretesa di contribuire a colmare questo vuoto per aiutare innanzitutto i miei pazienti, ma in generale chiunque abbia scelto una terapia cosiddetta “non convenzionale”, a percorrere più efficacemente il cammino che hanno intrapreso riflettendo su temi e argomenti che necessariamente non possono essere toccati se non brevemente nel corso delle visite mediche.
Un requisito di base per una buona conduzione della terapia omeopatica è che il paziente e il medico riescano a sviluppare quella che viene definita “alleanza terapeutica” ovvero un progetto comune fondato sulla condivisione non solo dell’obbietivo finale (la guarigione) ma anche della “filosofia” che sostiene e caratterizza il metodo omeopatico, o almeno dei suoi presupposti fondamentali.
In caso contrario accade (e ciò e molto più frequente di quanto si pensa) che la persona chiede al medico esattamente la stessa cosa che chiederebbe al medico “convenzionale”, ovvero la “rimozione” dei disturbi che la affliggono, usando però farmaci che “non fanno male”. Se da questa richiesta non evolve poi un differente punto di vista riguardo alle proprie malattie e disagi è difficile che il rapporto con il medico omeopata dia frutti profondi nel tempo perchè, magari senza rendersene conto, si continuerà a parlare due lingue diverse.
Bisogna comprendere che l’Omepatia è un Sistema Terapeutico (così come la Medicina Tradizionale Cinese, la Medicina Antroposofica, la Medicina Ayurvedica), non è semplicemente l’uso di rimedi omeopatici; un sistema terapeutico è sempre caratterizzato da una filosofia (o teoria generale) della malattia e dall’uso di mezzi terapeutici coerenti con essa.
Pertanto, occorre innanzitutto addentrarsi nell’esplorazione di questa filosofia della malattia, che, essendo basata sull’osservazione scientifica dei fatti, non può che essere in realtà un’esplorazione della nostra vera natura, che, a volte, è molto diversa da come ce la immaginiamo o da come ce l’hanno insegnata.
Star bene o star male? Una scelta difficile.
Prima di analizzare la natura della malattia sul piano oggettivo e scientifico, occorre
riflettere sulle nostre reazioni alla malattia, su come noi la pensiamo e siamo stati educati a pensarla.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute auspicabile per l’intera popolazione mondiale come “Stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”.
Questa definizione è completamente assurda, non solo perchè è alquanto improbabile che un qualsiasi essere umano immerso nella vita concreta possa mai trovarsi in quella condizione, ma soprattutto perchè pone salute e malattia, benessere e sofferenza, come alternative inconciliabili. Purtroppo l’aspirazione ad una “salute perfetta” dove non vi sia dolore e sofferenza è un mito pericoloso tipico della nostra epoca, che ci fa scambiare per malattia tutto ciò che dà disagio e ci impedisce di accedere ad un autentico benessere, perchè ci pone costantemente in conflitto con ciò che di fatto accade. Tutti voi potete notare che quando sviluppiamo una malattia acuta anche banale, come un’influenza, il nostro corpo produce ogni sorta di sensazioni spiacevoli, ma gran parte della nostra sofferenza non è dovuta a tali sensazioni, ma semplicemente al fatto che non vorremmo che questo stesse accadendo....
L’ansia di liberarsi rapidamente dai propri sintomi attenua la capacità di osservare se stessi e di collocare la malattia in un contesto più ampio, rendendo a volte difficile per il medico distinguere ciò che è importante da ciò che lo è meno.
Dovremmo ripensare all’Omeopatia come a un sistema terapeutico che ci può aiutare ad ottimizzare le nostre risorse e ad integrare i nostri aspetti conflittuali in modo sempre più coerente con i nostri bisogni evolutivi.
Mi pare che una definizione più costruttiva, anche se alquanto controcorrente, di salute debba pertanto implicare la capacità di ascoltarsi in profondità senza ritrarsi da ciò che appare a prima vista dissonante e di imparare ad accettare nel propro panorama interiore la compresenza di felicità e sofferenza in un percorso dinamico di evoluzione dotato di senso.
Poichè nulla nella nostra cultura dominante, non solo quella medica, va in questa direzione, si tratta di scardinare e ristrutturare pregiudizi e punti di vista così ben consolidati da apparire indiscutibili, e questo, prima o poi, deve entrare a far parte del percorso di chi si cura con l’Omeopatia.